venerdì 10 giugno 2011

LE TANTE FACCE DEL NUCLEARE

LE TANTE FACCE DEL NUCLEARE

“Da quando i frutti delle ricerche dell’uomo di scienza sono caduti nelle mani di coloro che detengono il potere politico, cui è affidato il destino della massa degli individui sempre più amorfa,va gradualmente profilandosi la minaccia dell’avvelenamento dell’atmosfera da parte della radioattività e, di conseguenza, della distruzione di qualsiasi forma di vita sulla terra. Allontanare questa minaccia è divenuto il problema più urgente del nostro tempo”.
Albert Einstein, 1954
“Se gli uomini di scienza si limitano ad accumulare sapere per sapere, senza umanità, la scienza può rimanere fiaccata per sempre e le nostre nuove macchine non saranno fonte che di nuovi triboli per l’uomo. E quando, con l’andar del tempo, avremo scoperto tutto lo scopribile, il nostro progresso non sarà che un inesorabile allontanamento dall’umanità …”
Bertold Brecht, 1956

Il nucleare è una tecnologia che ha più di mezzo secolo; se una tecnologia non supera le proprie problematicità e non decolla in questo lasso di tempo è grottesco che ci si affidi ad essa in attesa di futuri mirabolanti sviluppi.
Il nucleare è una tecnologia che ha fallito, non si è affermata, non ha risolto la crisi energetica ed anzi il suo contributo nel 2009 è diminuito del 2%.
Le principali ragioni che reggono il nucleare sono di carattere speculativo.

1) Nucleare e petrolio.
Quando si parla del contributo del nucleare al fabbisogno energetico mondiale occorre precisare che il dato riportato dall’Agenzia Energetica Internazionale (IEA), già piuttosto modesto e pari a 5,9%, è di fatto fuorviante: considera possibile utilizzare tutto il calore prodotto dagli impianti elettronucleari; questo è falso visto che il calore di scarto (circa i 2/3) costituisce un sottoprodotto inutilizzabile da tali impianti che possono solo produrre energia elettrica!
Questo emerge nei due grafici seguenti: quello di sinistra mostra che il nucleare produce il 5,9 % dell’energia primaria, ossia circa tre volte il contributo dell’idroelettrico, mentre dal grafico di destra, più corretto dal punto di vista tecnico, si evince che l’energia elettrica prodotta dalle due fonti (per entrambe è infatti possibile usare solo questo tipo di energia) sia a vantaggio dell’idroelettrico.

(Grafici tratti da “Key World Energy”Statistics della IEA)

Se, infatti, ragioniamo in termini di consumi finali il nucleare è di fatto fermo a quote di produzione energetica addirittura inferiori a quelle dell’idroelettrico (nel 2007 la produzione idroelettrica ammontava a 3.162 miliardi di kWh contro i 2.719 del nucleare) coprendo, quindi, effettivamente meno del 2% del fabbisogno mondiale d’energia…
Le centrali nucleari producono dunque solo energia elettrica, che è circa 1/5 dei consumi energetici dei paesi industrializzati: quando il Presidente del Consiglio dice che con il nucleare produrremo il 25% del fabbisogno energetico, sottratto quindi ai combustibili fossili, non specifica che è il 25% dell’energia elettrica, quindi il 25% del 20% di energia complessiva di cui l’Italia ha bisogno, cioè solo un 5% del fabbisogno totale!
La scelta del nucleare non riduce la dipendenza dal petrolio: la Francia produce il 78 % dell’energia elettrica dal nucleare, ma importa più petrolio di noi, ed ha i consumi di petrolio pro capite più alti d’Europa, proprio perché la maggior parte dell’energia consumata da un paese industrializzato è usata a scopo termico o per i trasporti.

2) Il combustibile
L’Uranio è una fonte esauribile al pari del petrolio: sembra assolutamente insensata la progettazione di nuove centrali con tempi di vita operativa addirittura di 60 anni, quando l’Uranio economicamente ed energicamente utilizzabile si esaurirebbe assai più celermente, ai ritmi di consumo attuali!
Vi sono grandissime quantità di Uranio nella crosta terrestre, ma solo in rare situazioni geologiche è presente in concentrazioni significative, generalmente è disperso con concentrazioni di poche parti per milione. Per basse concentrazioni l’energia necessaria per l’estrazione è maggiore di quella che è possibile ottenere dall’Uranio estratto.
Se si immagina un incremento della produzione elettrica mediante il nucleare si deve necessariamente ridurre il tempo di esaurimento della materia prima: l’incremento del nucleare è un gatto che si morde la coda perché più cresce meno può durare. Non sono trascurabili gli effetti di questo scenario, con l’aggravarsi delle lotte per accaparrarsi i giacimenti, già controllati da un ristrettissimo gruppo di multinazionali strettamente legate al settore militare, e la sempre maggiore capacità di queste di condizionare il mercato e i governi che al nucleare si sono affidati.
Il mercato dell’uranio è dominato da una lobby molto ristretta: sette società controllano l’85% dei giacimenti mondiali e quattro società forniscono il 95% dei servizi di arricchimento.

3) Costi e tempi di costruzione delle centrali nucleari sono fuori controllo.
Il reattore francese EPR in costruzione a Olkiluoto (Finlandia) avrebbe dovuto entrare in funzione nel 2009, con un costo di circa 3 miliardi di Euro, ma la sua costruzione ha incontrato una quantità enorme di problemi tecnici che hanno allungato i tempi di costruzione di almeno 3 anni (oggi si prevede fine 2012), e quasi raddoppiato i costi (più 2 miliardi e mezzo ad oggi).
Analoghi problemi si sono presentati per l’altro reattore in costruzione a Flamanville (Francia).
Nonostante ciò e senza che esista un’esperienza concreta del loro funzionamento (l’ente regolatore degli USA non lo ha neanche licenziato), l’ENEL vorrebbe ordinarne almeno 4!
I ritardi e l’aumento dei costi dei reattori EPR in costruzione in Finlandia e in Francia sono attribuibili in grande misura all’inadeguatezza delle imprese di quei paesi a soddisfare i requisiti tecnici eccezionali richiesti per il nucleare (saldature, acciaio, cemento, ecc.), rispetto agli altri impianti.
In Italia non ci sono imprese specializzate in queste costruzioni, e ci si può chiedere come potranno le imprese italiane soddisfare questi livelli tecnologici (ricordate l’Italcementi, che ha fornito cemento scadente per le grandi opere!), quindi i ritardi e gli aumenti dei costi diventerebbero necessariamente ancora maggiori.
Non bisogna poi dimenticare che negli ultimi decenni l’Italia ha dimostrato l’incapacità di operare un controllo efficace, per quanto riguarda le grandi opere, sulla surrettizia lievitazione dei costi; un esempio eclatante è quello delle tratte dell’Alta Velocità ferroviaria in corso di realizzazione in Italia, che hanno costi tra le 5 e le 10 volte superiori alle tratte costruite all’estero, con un sistema di affidamento e gestione degli appalti che persino la ‘Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture’ ha descritto come assolutamente aberrante.
Del resto nella storia del nucleare i reali costi sono sempre stati almeno doppi o tripli rispetto ai preventivi di partenza, questo a prescindere dal paese considerato. Negli Stati Uniti è ben documentato come i costi effettivi di costruzione abbiano superato quelli di progetto dal 214 al 381%.
Anche in contesti assai più virtuosi e controllati del nostro l’aumento incontrollabile dei costi delle centrali nucleari ha raggiunto un limite paradossale: nel luglio del 2009 il governo dell’Ontario, in Canada, sospese il progetto di costruzione di due centrali nucleari davanti alle offerte ricevute di ben 18 miliardi di Euro per due reattori canadesi Candu, e di 16 miliardi di Euro per due reattori EPR (ma con meno garanzie sui possibili aumenti di costi); queste cifre avrebbero portato il costo del kWh elettrico a quasi tre volte quello su cui si è basato l’accordo per costruire il reattore EPR ad Olkiluoto.
La figura riporta le valutazioni dei costi del hWh elettrico da diverse fonti da uno studio del prestigioso MIT del 2009.

Una valutazione realistica dei costi del nucleare deve tener conto non solo della costruzione delle centrali ma dell’intero ciclo di vita con particolare riguardo ai costi differiti dovuti allo smantellamento delle centrali, di cui non si conosce ancora l’esatta incidenza, e al deposito e collocazione finale dei rifiuti ad elevata radioattività: gli Stati Uniti da soli hanno già speso oltre 5,4 miliardi di euro soltanto per studi e progetti di fattibilità per individuare i siti di stoccaggio adeguati.
Considerati gli enormi costi di costruzione, le centrali nucleari non sono un affare per i privati, a meno di ricevere ingenti sovvenzioni dallo stato, come conferma la recente decisione di Obama; gli elevati capitali di rischio e i tempi troppo lunghi di costruzione e di rientro sull’investimento hanno sempre rappresentato uno dei più forti deterrenti per gli investitori privati
Certo il nucleare diventa un affare (per chi lo realizza) se lo si concepisce come sta avvenendo in India: si parla di un giro di affari per oltre 100 miliardi di dollari e, a quanto dicono destra e sinistra indiana, praticamente con l'impunità garantita in caso di incidente; la pressione di potenti lobbies ha fatto si che il Parlamento indiano approvasse un disegno di legge (liability legislation) per istituire un sistema di compensazione per gli incidenti nucleari. Il disegno di legge approvato dal Congress Party toglie ogni diritto alle vittime di portare in tribunale le richieste di indennizzo in caso di catastrofe nucleare, e consegna l'onere del risarcimento dei danni unicamente al gestore degli impianti nucleari (cioè al governo ed agli operatori indiani) e non ai fornitori delle attrezzature. Un passo essenziale per consentire la costruzione alle imprese nucleari statunitensi di costruire reattori in India.

4) Le emissioni di CO2
Un argomento portato dai sostenitori del nucleare è che esso sarebbe esente da emissioni di CO2. Questo è vero per la sola parte della reazione a catena nel nocciolo del reattore, ma non per tutte le altre parti del ciclo del combustibile (estrazione del minerale, trasporto, arricchimento, custodia o ritrattamento del combustibile esaurito, operazioni di bonifica e ripristino ambientale delle miniere di uranio) e della centrale (costruzione, smantellamento, gestione delle scorie radioattive) che producono CO2. Alla fase di estrazione sono associate le maggiori emissioni di CO2: per ottenere 1 Kg di uranio da un giacimento che ha un grado di concentrazione dello 0, 1% (la media mondiale è dello 0,15%) occorre estrarre e lavorare 1 tonnellata di minerale; l’impianto di arricchimento di Paducah, nel Kentucky, utilizza due centrali a carbone da 1.000 MW; questo impianto ed un altro a Portsmouth, Ohio, rilasciano il 93 % di tutto il gas clorofluorocarburo, CFC, emesso annualmente negli USA, anch’esso un gas serra, responsabile inoltre della distruzione della fascia di ozono stratosferico). Ma nell’ipotesi che, allo stato attuale, il ciclo nucleare emettesse meno CO2 del carbone, e anche del gas, se si tiene conto che il nucleare copre meno del 6 % della domanda di energia primaria mondiale (circa il 2% dei consumi finali di energia, come detto prima), anche un obiettivo di modestissimo abbattimento delle emissioni di CO2 richiederebbe la costruzione di un migliaio di centrali nucleari, con costi di migliaia di miliardi di euro, che sembrano difficilmente compatibili con la situazione economica mondiale.
L’obbiettivo della riduzione della CO2 può essere ottenuto in maniera più efficace con impegni economici assai più modesti, e senza gli ‘effetti collaterali’ del nucleare.
In ogni caso l’entità delle emissioni del ciclo nucleare aumenterà consistentemente quando si saranno esauriti i giacimenti più ricchi di Uranio, la cui durata è valutata in pochi decenni al ritmo attuale di utilizzo: quando si dovrà ricorrere a giacimenti o matrici in cui esso è meno concentrato, aumenteranno le quantità di minerale (radioattivo!) da estrarre, trasportare e trattare, aumenteranno vertiginosamente anche le emissioni di CO2, v.
La figura che segue mostra il rapporto che intercorre tra la concentrazione dell’uranio nella roccia madre e le emissioni di CO2.


5) Salute e sicurezza.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità “..in condizioni normali un reattore nucleare potrebbe concettualmente essere “stagno”, ma in pratica è impossibile evitare che una certa frazione delle incamiciature del combustibile si fessuri durante l’esercizio con conseguente rilascio , all’esterno , di prodotti di fissione ivi contenuti.” (da Annali ISS vol. 23 n.2 pp.254), e “..I gruppi che possono ricevere impegni di dose nel ciclo nucleare sono di tipo diverso:anzitutto i lavoratori esposti professionalmente, quindi la popolazione entro poche centinaia di km (dosi locali), quella entro poche migliaia di chilometri (dosi regionali) e quella totale del globo..” (da Annali ISS vol. 23, n.2 pag. 186)
Molte ricerche hanno ormai dimostrato in modo incontestabile che tra le popolazioni che vivono nei pressi delle centrali vi sono aumenti di leucemie infantili e di altre malattie. Uno studio commissionato dal governo tedesco, effettuato nelle vicinanze delle 16 centrali presenti sul suolo nazionale (German KiKK Study), ha mostrato un incremento di 2,2 volte delle leucemie infantili e di 1,6 volte dei tumori embrionali. Questi livelli sono strettamente correlati alla presenza delle centrali e accettati dal governo tedesco.
Anche uno studio americano sulle relazioni tra la presenza delle centrali e leucemie infantili (Joseph Mangano, Janette Sherman - European Journal of Cancer care, 2007), aveva mostrato dati preoccupanti: per le centrali vecchie si ha un + 13,9% (dati 1957-80), per le centrali più recenti un + 9,4% (dati 1985-2004).
Rilasci di radioattività sono evidentemente comuni anche in condizioni di normale funzionamento. A poco valgono gli argomenti che queste possono essere inferiori al fondo naturale di radioattività, perché per sconvolgere i meccanismi genetici e biochimici bastano dosi bassissime, che si aggiungono con effetti sinergici a tutti gli altri fattori inquinanti (questi andrebbero considerati nel loro complesso, e non separatamente). È provato anche il preoccupante aumento di tumori nella popolazione mondiale. L’inquinamento radioattivo dell’atmosfera terrestre è grave fin dai tempi dei test nucleari, anche se sottaciuto o negato dalle autorità e dalla comunità scientifica.
Né va dimenticato che l’estrazione del minerale di uranio causa tumori e altre malattie nei lavoratori, e provoca devastazione e inquinamento radioattivo diffuso nella regione circostante.
In Francia erano attive più di 200 miniere di uranio su 23 zone (l’ultima è stata chiusa nel 2001). Il CRIIRAD, un istituto di ricerca indipendente francese, ha potuto eseguire alcune misurazioni: nei pressi della miniera AREVA (multinazionale francese che opera nel campo dell'energia) a Puy de l’Age. E’ stata rilevata la contaminazione del prato a valle dei rigetti liquidi della miniera (2003), riscontrando valori relativi all’Uranio 238 e al Radio 226 venti volte superiori ai limiti consentiti.
Sempre il CRIIRAD, insieme a Greenpeace ed alla rete di Ong ROTAB, è riuscito a fare un breve monitoraggio nei villaggi nigeriani intorno alle miniere di AREVA, dalle quali ricava il 50% del suo uranio: ha verificato situazioni spaventose e la presenza diffusa di gravi patologie. Lo stesso CRIIRAD ha verificato persino in Francia, nelle vicinanze di siti estrattivi dismessi, situazioni ambientali e sanitarie assolutamente preoccupanti.
Non bisogna inoltre dimenticare che la filiera del nucleare è lunga, poiché comprende l’estrazione, la prima lavorazione, il trasporto, la preparazione del combustibile, la centrale, il riprocessamento del combustibile (gli atomi "trasmutati" che hanno catturato uno o più neutroni senza spezzarsi e una parte di prodotti di fissione, cioè atomi che sono stati effettivamente spezzati dalla fissione, accumulandosi, tendono ad impedire il corretto svolgersi della reazione a catena e pertanto periodicamente il "combustibile" deve essere estratto dai reattori ed eventualmente riprocessato cioè "ripulito"), l’eliminazione delle scorie. Quindi non solo la centrale ma tutti gli altri impianti e processi portano il loro contributo all’inquinamento ambientale. In particolare anche in Europa sono state misurate radiazioni consistenti sia nei trasporti sia nel riprocessamento.
Per quanto riguarda il solo trasporto in Francia ogni anno transitano su strade e ferrovie oltre 130.000 colli radioattivi per alimentare le centrali nucleari. Le radiazioni piu penetranti (gamma, neutroni) attraversano le protezioni e possono raggiungere le persone a decine di metri di distanza dal treno o autocarro. Le regole internazionali sul trasporto autorizzano livelli di radiazione troppo alti (2 000 Sv/h a contatto e 100 Sv/h a 2 metri), cioè 20 000 e 1 000 volte sopra il livello naturale, per cui restare qualche minuto vicino a questi trasporti aumenta il rischio di cancro in modo non trascurabile. Il CRIIRAD ha misurato vicino a Lyon le radiazioni presso un treno che trasportava rifiuti radioattivi della centrale nucleare di Bugey verso l’impianto di riprocessamento AREVA: ancora a 50 m di distanza le radiazioni gamma eccedevano i limiti consentiti.
Per quanto riguarda il normale funzionamento delle centrali si osserva che, oltre alle radiazioni di fondo, si registra che i gas nobili (Xeno 133, Kripton 35), lo Iodio e il Trizio (Idrogeno radioattivo che si produce a partire da Litio e Boro) non sono intrappolati dai sistemi di trattamento degli effluenti gassosi: più del 99 % della radioattività rigettata nell’ aria è dovuta ai gas. Ma i controlli sulla radioattività dell’aria vengono effettuati sulle particelle di pulviscolo (soprattutto pm10) così l’effettiva diffusione delle sostanze radioattive non viene monitorata.
Sono inoltre stati documentati dal CRIIRAD fughe di trizio nelle acque sotterranee nei pressi di impianti nucleari di vario genere: centrali nucleari EDF (Blayais, Bugey, Cattenom, Dampierre, Fessenheim, Flamanville, Gravelines, Paluel, Saint-Alban, Tricastin), Centri Ricerche Nucleare CEA (Cadarache, Saclay); Centro Stoccagio Rifiuti Nucleari (ANDRA) (Soulaine, La Hague - CSM), Centrale di CRUAS (acqua di falda bevuta dai lavoratori EDF contaminata, 990 Bq/l, con un valore massimo di 3 400 Bq/l nel 2005).
Infine è assai significativo anche l’inquinamento dovuto agli impianti di riprocessamento del combustibile nucleare: nella seguente figura è rappresentato l’aumento dell’inquinamento dell’aria nell’emisfero settentrionale relativo al Kripton 85, T=10 anni (Bq/mc) emesso dagli impianti di riprocessamento.

Nella seguente figura è mostrato l’impatto radiologico globale della produzione elettrica da nucleare: dose collettiva locale e regionale (uomo-Sievert per Gigawatt all’anno).



Rimane poi il problema della sicurezza, tutt’altro che risolto, o rassicurante. Le conseguenze di inaudita gravità dell’incidente di Chernobyl (1986) gravano e graveranno ancora sull’intera umanità, anche se nel ventennale le Agenzie internazionali hanno fatto irresponsabilmente a gara per minimizzarne la portata (v. ref.). Anche la versione ufficiale secondo la quale l’incidente dei Harrisburg (Three Mile Island) del 1979 non avrebbe avuto conseguenze sanitarie nel territorio circostante è stata confutata da studi autorevoli (v. ref.). Tuttora esistono irriducibili, come l’Associazione Italiana Nucleare la quale sostiene che “le vittime accertate dell’incidente sono 65” (replica del 6 aprile 2009 alla trasmissione Report): secondo il rapporto dell’Oms, finora, nei Paesi più danneggiati, sono stati diagnosticati circa 5.000 tumori tiroidei, in persone che all’epoca della disgrazia erano bambini o adolescenti. Nuovi casi di cancro alla tiroide sono verosimilmente previsti nei prossimi decenni. L’Oms stima che ci potrebbero essere 9.000 morti per cancro “in eccesso” imputabili all’incidente di Chernobyl tra le persone appartenenti alle squadre di emergenza, tra gli evacuati e i residenti delle regioni ad alta e bassa contaminazione di Bielorussia, Russia e Ucraina. Ufficialmente fino ad oggi OMS ammette 4000 vittime dovute a Chernobyl, ma Eugenia Stepanova, direttrice del centro scientifico del governo Ucraino, afferma: “siamo pieni di casi di cancro della tiroide, leucemie e mutazioni genetiche non registrate nei dati OMS e che erano praticamente sconosciuti circa 20 anni fa”. Nikolai Omelyanetes, vice-capo della commissione nazionale per la RP Ucraina afferma “Abbiamo studi che mostrano che 34.499 persone che presero parte alla ripulitura di Chernobyl sono morte di cancro dopo la catastrofe. Il tasso di mortalità infantile è aumentato fra il 20 e il 30%. Tutte queste informazioni sono state ignorate dall’AIEA e dall’OMS: gliele abbiamo mandate a marzo del 2005 e poi nuovamente a giugno. Non ci hanno detto perché non le hanno accettate”.
Anche per l’incidente di Three Mile Island (Harrisburg), del 28 marzo 1979, si è cercato di nascondere gli effetti: prima si disse che “non c’era stato rilascio di radiazioni”, poi che “ il rilascio era stato insignificante”. In realtà a tutt’oggi non si sa quale sia stato il livello di radiazioni disperse nell’ambiente ma, come mostra la seguente figura, le indagini epidemiologiche hanno mostrato una situazione molto grave.

Ancora meno si sa sugli effetti dei cosiddetti ‘piccoli incidenti’, per esempio: Giappone -Tokaimura (1999) e Kashiwazaki-Kariva (2007)-; Francia -Tricastin e Saint Alban-Saint Maurice- e, solo nel 2007, 942 incidenti definiti come minori; Slovenia -Krsko (2008)-; Germania -Krummel (2009)-. Particolarmente significativo delle ordinarie vicissitudini, spesso occultate, delle centrali nucleari è il caso del centro nucleare di Cadarache (Francia): 1994, esplosione; 2004 e 2208, incendio e un accumulo di uranio a causa delle bilancia guasta. Questo impianto tra l’altro è realizzato senza criteri antisismici. Recentissime (novembre 2009 – gennaio 2010) poi le informazioni sul caso delle perdite di Trizio a Vermont Yankee, che hanno portato a concentrazioni nell’acqua di falda assai superiori a quelle ammesse dall’EPA per l’acqua potabile. A 500 metri c’è una scuola elementare!
L’inquinamento radioattivo dell’atmosfera terrestre viene da lontano ed ha assunto livelli preoccupanti, anche se occultato dalle competenti autorità, che sottovalutano soprattutto gli effetti sanitari delle piccole dosi di radiazioni, soprattutto per esposizioni prolungate.
Si trova ancora Stronzio-90 nei denti dei bambini americani ascrivibile ai test nucleari nell’atmosfera degli anni ’50 e ’60 (v. ref.); mentre l’uso e l’abuso dei famigerati proiettili ad “uranio impoverito” hanno liberato nell’atmosfera ulteriore, persistente pulviscolo di microparticelle radioattive. Negli ultimi anni non sono cessati gli incidenti in centrali nucleari in Francia, Spagna, Germania, Slovacchia, Giappone: anche se vengono sistematicamente sminuite dalle autorità.
Bisogna ricordare anche che si hanno informazioni ed indizi preoccupanti sulla sicurezza del reattore EPR. Gli enti regolatori per la sicurezza britannico, francese e finlandese hanno espresso critiche sull’adeguatezza dei sistemi di sicurezza e sulla loro indipendenza dai sistemi di controllo. Vi sono poi seri dubbi sulla stabilità del reattore a fronte dei tentativi di regolarne la potenza per rispondere alle oscillazioni della rete.
Infine è necessario sapere che il concetto di “dose-limite”, che viene utilizzata per stabilire i livelli di esposizione accettabile alle radiazioni, non definisce affatto la soglia sotto la quale non si ha alcuna conseguenza: così come definita dall’ICRP per i lavoratori addetti, non significa una dose al di sotto della quale il rischio non si determina, ma solo “una dose alla quale possono associarsi effetti somatici o genetici che si considerano accettabili a fronte di benefici economici”: in altre parole, si mettono su un piatto della bilancia gli effetti somatici o genetici e sull’altro i benefici economici, più alti sono i secondi più si eleva la tollerabilità delle patologie conseguenti.

6) Le scorie radioattive
Comprendono il combustibile esaurito e tutto ciò che è stato contaminato dalle radiazioni, cioè i materiali utilizzati per il funzionamento della centrale ed il reattore stesso, che a fine ciclo andrà smantellato.
Il problema dei residui del ciclo nucleare è irrisolto in tutti i paesi del mondo, e non si prospettano soluzioni semplici ed economiche in tempi prevedibili. Ancora una volta la Francia dimostra l’insostenibilità dei problemi creati dal nucleare: migliaia di tonnellate di rifiuti radioattivi a bassa attività sono stati sparsi su tutto il territorio, vi sono state probabilmente esportazioni illegali in altri paesi. Per il progetto USA del deposito di Yucca Mountain nel deserto del Nevada i costi di costruzione supereranno i 54 miliardi di dollari (che dovranno essere pagati con le tasse dei contribuenti) e non è affatto certo che questo entrerà mai in funzione. La data d’inizio dello stoccaggio è stata più volte fatta slittare (oggi si parla forse del 2017), a causa di numerosi problemi.
Ma anche se il deposito di Yucca Mountain dovesse, un giorno, entrare in servizio, potrà contenere circa 70.000 tonnellate di rifiuti radioattivi e, come scrivono in uno splendido libro Balzani e Armaroli  : “nel 2017 gli Stati Uniti avranno accumulato 85.000 tonnellate di combustibile esausto dalle loro centrali nucleari: il deposito è dunque già virtualmente pieno, dieci anni prima della sua apertura. Più in generale, agli attuali ritmi di produzione complessiva di elettricità e armamenti nucleari, il mondo avrebbe bisogno di un deposito con capacità di Yucca Mountain ogni due anni.”
Non esiste in effetti in nessuna parte del mondo un’esperienza concreta in grado di garantire sicurezza e affidabilità, nel lungo periodo, di uno stoccaggio delle scorie a più alta radioattività.
Non esiste la possibilità scientifica di dimostrare il mantenimento delle condizioni di sicurezza necessarie per alcune centinaia di migliaia di anni, richieste dai rifiuti radioattivi di III categoria (ossia le scorie a più altro livello di radioattività derivate direttamene dai processi di combustione e dagli elementi che con questa direttamente vengono a contatto). Nessuna opera dell’uomo può ragionevolmente pensare di sfidare tempi così lunghi e qualsiasi pretesa di garanzia non può avere nessun fondamento scientifico.
Senza considerare quali sarebbero i costi per mantenere in sicurezza un simile sito per tempi tanto lunghi difendendolo anche da possibili attacchi terroristici, un rischio quest’ultimo che è andato aumentando, cui possono essere sottoposti non solo gli impianti ma anche le stesse operazioni di trasporto del combustibile esausto
È inoltre elevatissimo il rischio - se non la certezza - che siano attivi operatori malavitosi che smaltiscono le scorie nucleari nel terzo mondo o nei fondali oceanici: di queste attività potremmo avere drammatica certezza quando potrebbe essere troppo tardi per porre rimedio a fenomeni di inquinamento radioattivo su ampia scala geografica.
in In Italia abbiamo ancora una pesante eredità dei pur relativamente modesti programmi nucleari del passato, irrisolti dopo 20 anni! (Quattro centrali da smantellare, combustibile esaurito ancora da ritrattare, scorie nucleari disseminate in siti non idonei, grandi quantità di fusti con scorie radioattive, provvisoriamente collocati all’interno delle centrali o inviati all’estero, con rilevanti spese per la custodia e gli affitti: ricordiamo tutti le vicende di Scanzano Ionico, dove il precedente Governo Berlusconi voleva d’imperio localizzare il deposito nazionale definitivo per le scorie nucleari).
Si tenga inoltre presente che il problema delle scorie non riguarda solo quelle prodotte dalle centrali (durante l’esercizio e dopo la dismissione) ma anche nella fase di estrazione dell’Uranio: gli impianti d’estrazione infatti producono rifiuti radioattivi, e fortemente contaminati da una serie di sostanze chimiche utilizzate, in grande quantità e nessuno sa come organizzarne lo stoccaggio per migliaia di anni.
Questo problema è tutt’altro che trascurabile sia per la quantità dei materiali (50 milioni di tonnellate solo in Francia e si stima che ve ne siano più di 35 milioni stoccate senza protezione presso gli impianti di concentrazione di uranio di AREVA in Africa) sia perché l’80 % della radioattività del minerale rimane nei fanghi che costituiscono i rifiuti estrattivi: radio 226, radon 222, polonio 210, piombo 210, etc.
Sono metalli radioattivi caratterizzati da alta radiotossicità e lunghi tempi di decadimento: l’emivita del torio 230 ad esempio è di 75 000 anni.

7) Nucleare civile e militare
Il legame tra energia nucleare “civile” e militare non solo è inscindibile (dual-use), ma i programmi civili non si sarebbero sostenuti senza i programmi militari, i cui costi complessivi non si sapranno mai, ma sono senza dubbio superiori almeno di un fattore 10 rispetto ai programmi civili: a fronte della costruzione di poche centinaia di reattori di potenza nel mondo, sono stati costruiti un numero maggiore di reattori militari, e ben 130.000 bombe atomiche (con tutto il sistema, molto più costoso, di missili, bombardieri, sommergibili, sistemi di controllo e di allarme, satelliti, radar, ecc.).
Anche la Francia ha sviluppato un potente arsenale nucleare militare, nel quale ha potuto scaricare molti costi del nucleare civile: l’utente francese paga, attraverso la fiscalità generale, una quota per il nucleare che è rubricata tra le spese per la difesa, cioè per le spese militari.
La realizzazione di programmi di rilancio di centrali nucleari di potenza, e la diffusione di questa tecnologia ad altri paesi, non può che aggravare i rischi di proliferazione militare (richiamati solo quando si tratta dell’Iran o della Corea del Nord: il Brasile ha già realizzato, senza nessuna contestazione, il processo di arricchimento dell’uranio che si contesta a Tehran,; l’India, che non ha nemmeno aderito al Trattato di non proliferazione nucleare nonostante le tensioni con il Pakistan, ha in programma la costruzione di centrali con capitali e tecnologie americane). D’altra parte, dovrebbe far riflettere il fatto che l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) già oggi denuncia una carenza di fondi per i compiti di controllo della tecnologia nucleare civile in tutto il mondo.
L’uso di combustibile misto uranio-plutonio (MOX), previsto anche per i reattori EPR, presenta ulteriori rischi di proliferazione per la possibilità di ritrattarlo estraendo il plutonio.

8) L’Italia ha bisogno delle centrali nucleari? –
È vero che l’Italia importa energia elettrica, a prezzi molto bassi, dalla Francia, ma anche dalla Svizzera e l’Austria: perché?
In realtà l’Italia ha un’eccedenza di potenza elettrica installata rispetto alla domanda superiore a tutti i paesi europei: al 31 dicembre 2008 la potenza efficiente netta disponibile era di 98.625 MW, a fronte di 55.292 MW di potenza massima richiesta nello stesso anno (Fonte Terna, “Dati statistici sull’energia elettrica in Italia”, 2008) dando luogo alla maggiore eccedenza di potenza disponibile tra i paesi europei
A tutto questo andranno ad aggiungersi le migliaia di MW d’impianti in costruzione e le potenziali decine di migliaia di MW di quelli in progetto, un dispiegamento di nuova potenza assai maggiore di quello necessario a compensare le dismissioni dei vecchi impianti e assolutamente inutile per le reali esigenze del nostro paese.
Ma il sistema elettrico italiano è inefficiente, soprattutto da quando il settore è stato privatizzato i costi dell’energia elettrica in Italia sono tra i più alti d’Europa, per cui conviene mantenere delle centrali spente o a basso regime e comperare energia dall’estero. Inoltre gli imprenditori privati hanno convenienza a costruire nuovi impianti a gas, redditizi anche se funzionano a pieno regime solo saltuariamente, così da vendere la propria produzione a prezzi elevati quando c’è grande richiesta.
Da parte sua la Francia, con la scelta di produrre il 78 % dell’energia elettrica dal nucleare (ma tutti i governi francesi si sono ben guardati dal privatizzare EDF, Electricité de France) ha un sistema elettrico molto rigido: le centrali nucleari, infatti, non possono essere accese e spente a piacere come si fa, per esempio, con un ciclo combinato a gas, ma devono funzionare a ciclo continuo. Tali sistemi rigidi non possono variare la produzione, nell’arco delle 24 ore, in modo adeguato a tenere conto delle diverse richieste sulla rete elettrica., per cui per coprire la domanda di picco la Francia produce in ore di minimo un surplus di energia elettrica, che è costretta a vendere a prezzi molto bassi, assai inferiori al costo di produzione. Per contro, in situazioni eccezionali deve comperare energia che, essendo energia di picco, paga molto cara (anche se il bilancio è positivo).
L’Italia quindi non ha bisogno di più energia elettrica: dai dati degli ultimi due rapporti di Terna risulta che nei soli anni 2007 e 2008 sono stati realizzati rispettivamente 4.150 e 5.027 MW di nuova potenza, molto più dei 6.400 MW delle 4 centrali nucleari che il governo vorrebbe costruire, che comporteranno costi enormemente superiori, e non meno di 10 anni dall’avvio dei lavori, previsto per il 2012-2013!
Sarebbe sufficiente razionalizzare i consumi per rendere totalmente inutili altri impianti di produzione elettrica: l’Italia è il paese degli sprechi, enormi sprechi pubblici di energia – dal sistema di trasporto su gomma e le autostrade, al deplorevole isolamento degli edifici la cui razionalizzazione ed eliminazione costituirebbe la maggiore fonte di energia, con grandi vantaggi economici, ambientali, occupazionali e sociali!
E comunque, prima di pensare al costoso e problematico nucleare, sarebbe opportuno riflettere sul fatto che la Germania, assai meno favorita di noi, è leader mondiale nell’energia solare; anche la Spagna ha incentivato le energie rinnovabili, sviluppando capacità tecnologiche e commerciali. Rispetto a questi paesi, l’Italia rimane il fanalino di coda nelle energie rinnovabili.

9) Ridurremmo la dipendenza dal petrolio?
Il nostro Paese non possiede significative riserve di uranio e quindi sarebbe costretto ad importarlo dai paesi produttori: i principali sono il Canada, l’Australia e il Kazakistan. Altri paesi con riserve di un certo interesse sono la Russia, il Niger, la Namibia, l’Uzbekistan, il Sud Africa, il Brasile.
Quindi, se decidessimo di puntare sul nucleare per produrre l’energia elettrica, sostituiremmo la dipendenza dai combustibili fossili con quella dall’uranio. Tutto questo senza considerare che l’uranio è una risorsa il cui sfruttamento necessita di una complessa filiera (che va dall’estrazione all’arricchimento del minerale) tutta in mano di pochi paesi, quali la Francia, ma non l’Italia. Quindi, oltre alla dipendenza energetica, col nucleare, aggiungeremmo la dipendenza tecnologica.
La dipendenza energetica italiana ha ben altre cause. Importiamo quasi tutto il petrolio, che viene utilizzato, con grandi sprechi, in usi in cui non è sostituibile dal nucleare: circa un terzo, per un sistema dei trasporti totalmente sbilanciato sul trasporto su gomma e privato, buona parte per il riscaldamento di edifici costruiti senza isolamento termico, e altre importanti quote per attività produttive energivore, che producono male e in modo inefficiente.
Peraltro la Francia importa più petrolio dell’Italia, ed ha anzi i consumi di petrolio pro capite più alti d’Europa che le servono per il fabbisogno energetico che non riguarda la produzione di elettricità. Il nucleare quindi non ha nulla a che fare con la bolletta petrolifera! La Francia importa meno gas di noi: ma questo è legato al fatto che, per sostenere la produzione elettronucleare, utilizza ancora il riscaldamento domestico elettrico.

10) Trasparenza, efficienza, democrazia nei lavori –
La legislazione raffazzonata da questo governo per la ripresa del nucleare presenta aspetti allarmanti, che violano la Costituzione e stravolgono la normativa internazionale, tant’è che molte Regioni hanno fatto ricorso alla Corte Costituzionale. Tra l’altro la nascente Agenzia per la sicurezza nucleare (ASN) si configura non come ente indipendente, ma dipendente dal Governo, che vuole sveltire delicate procedure autorizzative, riducendone tempi e modi rispetto agli altri paesi, che pure hanno maggiore esperienza in campo nucleare (i reattori già licenziati in paesi OCSE o con cui l’Italia ha accordi bilaterali, Francia e USA, sono sostanzialmente approvati; le procedure autorizzative per una centrale nucleare sono surrettiziamente estese anche a strutture destinate allo stoccaggio del combustibile e dei rifiuti radioattivi, edificabili nello stesso sito, che richiederebbero un’altra autorizzazione; si precostituisce così la possibilità che queste strutture non vengano sottoposte a VIA in quanto i rifiuti sono prodotti nello stesso sito, con l’aggravante che questi depositi temporanei potrebbero, col tempo, diventare definitivi; ecc.).
Allarma da questo punto di vista l’orientamento del Governo di localizzare le nuove centrali proprio nei siti delle vecchie (Caorso, Garigliano, Trino Vercellese), che già avevano le autorizzazioni, scavalcando d’un colpo il problema dello smantellamento delle vecchie centrali, che non può essere frettolosamente liquidato come la demolizione di un qualsiasi edificio.
Non si dimentichi poi che tutto il territorio italiano è a rischio sismico e gran parte di esso soggetto ad una forte fragilità idrogeologica.
Infine, con l’entrata in vigore della Legge Sviluppo (luglio 2009), lo Stato potrà avvalersi dei poteri sostitutivi nei confronti delle Regioni in materia di energia (aspetto per cui molte Regioni hanno fatto ricorso), equiparando di fatto i siti scelti per le centrali alle aree militari d’interesse strategico. Con grave detrimento dei principi di partecipazione democratica nella condivisione delle localizzazioni.

E per il futuro?
I sostenitori del nucleare ci promettono reattori di 4a Generazione, di nuova concezione, con caratteristiche tali da risolvere tutti i problemi creati da questa tecnologia. Purtroppo tali centrali sono ancora a livello di ricerca (dopo decenni!), anche i più ottimisti non ne prevedono l’entrata in funzione prima del 2030-2040!
Sembra per lo meno estremamente scorretto promettere oggi le caratteristiche future di una tecnologia che esiste solo nelle ipotesi di studio, talmente complessa, che potrà riservare sorprese, difficoltà e problemi assolutamente inaspettati e forse insormontabili nel corso della sua realizzazione. E non dimentichiamo che la necessità di attivarsi al più presto per contrastare i cambiamenti climatici è in netto contrasto con promesse di eventuali soluzioni a così lungo termine.

È inoltre utile ricordare il colossale progetto dei reattori veloci al Plutonio sviluppato dalla Francia (con la partecipazione al 30 % dell’Italia; ma la Francia aveva l’interesse principale per le bombe!): esso si è rivelato un clamoroso fallimento, con la chiusura definitiva di Superphoenix, che avrebbe invece dovuto essere il prototipo per un reattore veloce commerciale.
E a fronte di tutto questo infatti il Mondo non va nella direzione del nucleare: nella figura che segue è rappresentata la potenza nucleare, da eolico e da fotovoltaico annuale nel mondo (dal 2003 al 2007 dati storici, dal 2008 al 2012 valutazioni statistiche, fonte Qualenergia - QE, 2008).


Oggi nel mondo sono in costruzione circa 34 impianti, di cui 7 in Cina, 7 in Russia e 6 in India, però circa il 70% dei reattori nucleari oggi in funzione sono stati realizzati fra il 1975 e il 1985: questi impianti dovranno, quindi, essere chiusi entro il 2030 (per superati limiti età). Ciò significa che per mantenere l’attuale potenza nucleare, sarebbe necessario sostituire i circa 250 GW che dovranno essere chiusi.
La realtà, quindi, è che i nuovi impianti in costruzione, sempre che riescano tutti a essere realizzati, non saranno sufficienti neanche a compensare quelli che dovranno essere chiusi per raggiunti limiti di età. Nel 2006 sono entrate in funzione 2 centrali e ne sono state chiuse 8… Nel 2015, nella ipotesi più ottimistica, dal punto di vista dei filonucleari, ne potrebbero essere aperte una trentina, ma ne dovranno essere chiuse almeno 90. Nel decennio successivo (cioè tra il 2015 e il 2025), per compensare gli impianti che dovranno essere chiusi, occorrerebbe aprirne ben 190, cioè una ventina di impianti all’anno con un programma di investimenti economici ed energetici assolutamente insostenibile, e questo solo per compensare gli impianti da dismettere: il recente rapporto “The World Nuclear Industry Status Report 2009” afferma che, per mantenere costante la potenza installata, sarebbe necessario realizzare ben 192 nuovi impianti entro il 2020: praticamente uno ogni 19 giorni.

Referenze scientifiche

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http://uk.reuters.com/article/oilRpt/idUKL2465085020080724

Alcuni studi scientifici “alternativi” su Chernobyl
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Documents of the ECRR, 2006 No1, ISBN: 1-897761-25-2. Editors: Chris Busby (University of Liverpool, UK) e Alexey V.
Yablokov (Russian Academy of Sciences, and Center for Russian Ecological Policy, Moscow)
_ «Another Redundant Armchair Critique (ANORAC) A Low Level Radiation Campaign review of The Other Report on Chernobyl
(TORCH)» [http://www.llrc.org/health/subtopic/fairliechernobyl.htm].
_ M. Peplow, “Counting the dead”, Nature, 440, 982-983 (20 April 2006).
_ D. Williams e K. Baverstock, “Too soon for a final diagnosis”, Nature, Vol. 440, 20 April 2006, pp. 993-4.
_ C. C. Busby, “Very Low Dose Fetal Exposure to Chernobyl Contamination Resulted in Increases in Infant Leukemia in Europe and
Raises Questions about Current Radiation Risk Models”, International Journal of Environmental Research and Public Health. 2009;
6:3105-3114.
Alcuni studi in Ucraina, Bielorussia
_ Buzhievskaya TI, Tchaikovskaya TL, Demidova GG, Koblyanskaya GN. Selective monitoring for a Chernobyl effect on pregnancy
outcome in Kiev, 1969-1989. Hum Biol. 1995 Aug;67(4):657-72.
_ Laziuk GI, Kirillova IA, Dubrova IuE, Novikova IV. “Incidence of developmental defects in human embryos in the territory of
Byelarus after the accident at the Chernobyl nuclear power station”. Genetika. 1994 Sep;30(9):1268-73. Russian.
_ Petrova A, Gnedko T, Maistrova I, Zafranskaya M, Dainiak N. “Morbidity in a large color study of children born to mothers
exposed to radiation from Chernobyl”. Stem Cells. 1997;15 Suppl 2:141-50.
_ Goldman M. “The Russian radiation legacy: its integrated impact and lessons”. Environ Health Perspect. 1997 Dec;105 Suppl
6:1385-91. Review.
_ Ivanov E, Tolochko GV, Shuvaeva LP, et al (1998) “Infant leukemia in Belarus after the Chernobyl accident” Radiat. Env.
Biophys. 37 53-5
Vi è poi una grande quantità di studi specifici in vari paesi europei, ed anche sugli USA

Studi sulle conseguenze dell’incidente di Three Mile Island del 1979
_ M. C. Hatch et al., "Cancer Near the Three Mile Island Nuclear Plant," American Journal of Epidemiology, vol. 132, no. 3, pp. 397-
412 (1990)
_ M. C. Hatch et al., "Cancer Rates After the Three Mile Island Nuclear Accident and Proximity of Residence to the Plant," American
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_ S Wing et al., "A Re-Evaluation of Cancer Incidence Near the Three Mile Island Nuclear Plant," Environmental Health
Perspectives, vol. 105, no. 1, pp. 52-57 (1997).
_ M. Susser, "Consequences of the 1979 Three Mile Island Accident Continued: Further Comment," Environmental Health
Perspectives, vol. 105, no. 6, pp. 566-67 (1997).
_ E. O. Talbott et al., "Mortality Among the Residents of the Three Mile Accident Area: 1979-1992," Environmental Health
Perspectives, vol. 108, no. 6, pp. 545-52 (2000); e
_ E. O. Talbott et al., "Long-Term Follow-up of the Residents of the Three Mile Island Accident," Environmental Health
Perspectives, vol. 111, no. 3, pp. 341-48 (2003).
_ Joseph J. Mangano, “Three Mile Island: health study meltdown”, Bulletin of the Atomic Scientists, Vol. 60, n. 05,
September/October 2004, pp. 30-35

Critica scientifica dei criteri radioprotezionistici del ICRP
_ 2003 Recommendations of the ECRR (European Committee on Radiation Risk), «The Health Effects of Ionising Radiation
Exposure at Low Doses and Low Dose Rates for Radiation Protection Purposes: Regulators’ Edition» (ISBN: 1 897761 24 4), Edited
by Chris Busby with Rosalie Bertell, Inge Schmitz-Feuerhake, Molly Scott Cato and Alexei Yablokov,
http://www.euradcom.org/2003/ecrr2003.htm
_ ECRR, Lesvos Declaration, 6 maggio 2009 (www.euradcom.org/2009/presslesvos.htm), e Comunicato Stampa, 7 maggio 2009
(www.euradcom.org), sulla Conferenza Internazionale Criticisms and Developments in the Assessment of Radiation Risk (5-6 maggio
2009), Molyvos (Mithymna) Island of Lesvos, Grecia.
COORDINAMENTO TOSCANO per il NO al NUCLEARE:
Ambiente e Lavoro Toscana
Amici della Terra - Toscana ONLUS
ARCI Toscana
Cittadinanzattiva Toscana
Fare Verde Toscana
Forum Ambientalista
Greenpeace
Italia Nostra Toscana
International Society of Doctors for the Environment
Legambiente Toscana
Libera Toscana
Medicina Democratica
Mondo Senza Guerre e Senza Violenze
Rete dei Comitati per la Difesa del Territorio
Terra !
WWF Toscana

domenica 23 gennaio 2011

LE TANTE FACCE DEL NUCLEARE

“Da quando i frutti delle ricerche dell’uomo di scienza sono caduti nelle mani di coloro che detengono il potere politico, cui è affidato il destino della massa degli individui sempre più amorfa,va gradualmente profilandosi la minaccia dell’avvelenamento dell’atmosfera da parte della radioattività e, di conseguenza, della distruzione di qualsiasi forma di vita sulla terra.
Allontanare questa minaccia è divenuto il problema più urgente del nostro tempo”.
Albert Einstein, 1954

“Se gli uomini di scienza si limitano ad accumulare sapere per sapere, senza umanità, la scienza può rimanere fiaccata per sempre e le nostre nuove macchine non saranno fonte che di nuovi triboli per l’uomo. E quando, con l’andar del tempo, avremo scoperto tutto lo scopribile, il nostro progresso non sarà che un inesorabile allontanamento dall’umanità ...”
Bertold Brecht, 1956

Il nucleare è una tecnologia che ha più di mezzo secolo; se una tecnologia non supera le proprie problematicità e non decolla in questo lasso di tempo è grottesco che ci si affidi ad essa in attesa di futuri mirabolanti sviluppi.
Il nucleare è una tecnologia che ha fallito, non si è affermata, non ha risolto la crisi energetica ed anzi il suo contributo nel 2009 è diminuito del 2%.
Le principali ragioni che reggono il nucleare sono di carattere speculativo.
1) Nucleare e petrolio.
Quando si parla del contributo del nucleare al fabbisogno energetico mondiale occorre precisare che il dato riportato dall‟Agenzia Energetica Internazionale (IEA), già piuttosto modesto e pari a 5,9%, è di fatto fuorviante: considera possibile utilizzare tutto il calore prodotto dagli impianti elettronucleari;
questo è falso visto che il calore di scarto (circa i 2/3) costituisce un sottoprodotto inutilizzabile da tali impianti che possono solo produrre energia elettrica!
Questo emerge nei due grafici seguenti: quello di sinistra mostra che il nucleare produce il 5,9 % dell‟energia primaria, ossia circa tre volte il contributo dell‟idroelettrico, mentre dal graf ico di destra, più corretto dal punto di vista tecnico, si evince che l‟energia elettrica prodotta dalle due fonti (per entrambe
è infatti possibile usare solo questo tipo di energia) sia a vantaggio dell‟idroelettrico.

(Grafici tratti da “Key World Energy”Statistics della IEA)

Se, infatti, ragioniamo in termini di consumi finali il nucleare è di fatto fermo a quote di produzione energetica addirittura inferiori a quelle dell‟idroelettrico (nel 2007 la produzione idroelettrica ammontava a 3.162 miliardi di kWh contro i 2.719 del nucleare) coprendo, quindi, effettivamente meno del 2% del fabbisogno mondiale d‟energia...
Le centrali nucleari producono dunque solo energia elettrica, che è circa 1/5 dei consumi energetici dei paesi industrializzati: quando il Presidente del Consiglio dice che con il nucleare produrremo il 25% del fabbisogno energetico, sottratto quindi ai combustibili fossili, non specifica che è il 25% dell‟energia elettrica, quindi il 25% del 20% di energia complessiva di cui l‟Italia ha bisogno, cioè solo un 5% del
fabbisogno totale!

La scelta del nucleare non riduce la dipendenza dal petrolio: la Francia produce il 78 % dell‟energia elettrica dal nucleare, ma importa più petrolio di noi, ed ha i consumi di petrolio pro capite più alti d‟Europa, proprio perché la maggior parte dell‟energia consumata da un paese industrializzato è usata a scopo termico o per i trasporti.

2) Il combustibile L‟Uranio è una fonte esauribile al pari del petrolio: sembra assolutamente insensata la progettazione di nuove centrali con tempi di vita operativa addirittura di 60 anni, quando l‟Uranio economicamente ed energicamente utilizzabile si esaurirebbe assai più celermente, ai ritmi di consumo attuali!
Vi sono grandissime quantità di Uranio nella crosta terrestre, ma solo in rare situazioni geologiche è presente in concentrazioni significative, generalmente è disperso con concentrazioni di poche parti per milione. Per basse concentrazioni l‟energia necessaria per l‟estrazione è maggiore di quella che è possibile ottenere dall‟Uranio estratto.
Se si immagina un incremento della produzione elettrica mediante il nucleare si deve necessariamente ridurre il tempo di esaurimento della materia prima: l‟incremento del nucleare è un gatto che si morde la coda perché più cresce meno può durare.
Non sono trascurabili gli effetti di questo scenario, con l‟aggravarsi delle lotte per accaparrarsi i giacimenti, già controllati da un ristrettissimo gruppo di
multinazionali strettamente legate al settore militare, e la sempre maggiore capacità di queste di condizionare il mercato e i governi che al nucleare si sono affidati.
Il mercato dell‟uranio è dominato da una lobby molto ristretta: sette società controllano l‟85% dei giacimenti mondiali e quattro società forniscono il 95% dei servizi di arricchimento.

3) Costi e tempi di costruzione delle centrali nucleari sono fuori controllo.
Il reattore francese EPR in costruzione a Olkiluoto (Finlandia) avrebbe dovuto entrare in funzione nel 2009, con un costo di circa 3 miliardi di Euro, ma la sua costruzione ha incontrato una quantità enorme di problemi tecnici che hanno allungato i tempi di costruzione di almeno 3 anni (oggi si prevede fine 2012), e quasi raddoppiato i costi (più 2 miliardi e mezzo ad oggi).
Analoghi problemi si sono presentati per l‟altro reattore in costruzione a Flamanville (Francia).
Nonostante ciò e senza che esista un‟esperienza concreta del loro funzionamento (l‟ente regolatore degli USA non lo ha neanche licenziato), l‟ENEL vorrebbe ordinarne almeno 4!
I ritardi e l‟aumento dei costi dei reattori EPR in costruzione in Finlandia e in Francia sono attribuibili in grande misura all‟inadeguatezza delle imprese di quei paesi a soddisfare i requisiti tecnici eccezionali richiesti per il nucleare (saldature, acciaio, cemento, ecc.), rispetto agli altri impianti.
In Italia non ci sono imprese specializzate in queste costruzioni, e ci si può chiedere come potranno le imprese italiane soddisfare questi livelli tecnologici (ricordate l‟Italcementi, che ha fornito cemento scadente per le grandi opere!), quindi i ritardi e gli aumenti dei costi diventerebbero necessariamente
ancora maggiori.
Non bisogna poi dimenticare che negli ultimi decenni l‟Italia ha dimostrato l‟incapacità di operare un controllo efficace, per quanto riguarda le grandi opere, sulla surrettizia lievitazione dei costi; un esempio eclatante è quello delle tratte dell‟Alta Velocità ferroviaria in corso di realizzazione in Italia, che hanno
costi tra le 5 e le 10 volte superiori alle tratte costruite all‟estero, con un sistema di affidamento e gestione degli appalti che persino la „Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture‟ ha descritto come assolutamente aberrante.
Del resto nella storia del nucleare i reali costi sono sempre stati almeno doppi o tripli rispetto ai preventivi di partenza, questo a prescindere dal paese considerato. Negli Stati Uniti è ben documentato
come i costi effettivi di costruzione abbiano superato quelli di progetto dal 214 al 381%.
Anche in contesti assai più virtuosi e controllati del nostro l‟aumento incontrollabile dei costi delle centrali nucleari ha raggiunto un limite paradossale: nel luglio del 2009 il governo dell‟Ontario, in Canada, sospese il progetto di costruzione di due centrali nucleari davanti alle offerte ricevute di ben 18
miliardi di Euro per due reattori canadesi Candu, e di 16 miliardi di Euro per due reattori EPR (ma con meno garanzie sui possibili aumenti di costi); queste cifre avrebbero portato il costo del kWh elettrico a quasi tre volte quello su cui si è basato l‟accordo per costruire il reattore EPR ad Olkiluoto.
La figura riporta le valutazioni dei costi del hWh elettrico da diverse fonti da uno studio del prestigioso MIT del 2009.
Una valutazione realistica dei costi del nucleare deve tener conto non solo della costruzione delle centrali ma dell‟intero ciclo di vita con particolare riguardo ai costi differiti dovuti allo smantellamento delle centrali, di cui non si conosce ancora l‟esatta incidenza, e al deposito e collocazione finale dei rifiuti ad elevata radioattività: gli Stati Uniti da soli hanno già speso oltre 5,4 miliardi di euro soltanto per studi e progetti di fattibilità per individuare i siti di stoccaggio adeguati.
Considerati gli enormi costi di costruzione, le centrali nucleari non sono un affare per i privati, a meno di
ricevere ingenti sovvenzioni dallo stato, come conferma la recente decisione di Obama; gli elevati
capitali di rischio e i tempi troppo lunghi di costruzione e di rientro sull‟investimento hanno sempre
rappresentato uno dei più forti deterrenti per gli investitori privati
Certo il nucleare diventa un affare (per chi lo realizza) se lo si concepisce come sta avvenendo in India:
si parla di un giro di affari per oltre 100 miliardi di dollari e, a quanto dicono destra e sinistra indiana,
praticamente con l'impunità garantita in caso di incidente; la pressione di potenti lobbies ha fatto si che
il Parlamento indiano approvasse un disegno di legge (liability legislation) per istituire un sistema di
compensazione per gli incidenti nucleari. Il disegno di legge approvato dal Congress Party toglie ogni
diritto alle vittime di portare in tribunale le richieste di indennizzo in caso di catastrofe nucleare, e
consegna l'onere del risarcimento dei danni unicamente al gestore degli impianti nucleari (cioè al
governo ed agli operatori indiani) e non ai fornitori delle attrezzature. Un passo essenziale per
consentire la costruzione alle imprese nucleari statunitensi di costruire reattori in India.
4) Le emissioni di CO2
Un argomento portato dai sostenitori del nucleare è che esso sarebbe esente da emissioni di CO 2.
Questo è vero per la sola parte della reazione a catena nel nocciolo del reattore, ma non per tutte le
altre parti del ciclo del combustibile (estrazione del minerale, trasporto, arricchimento, custodia o
ritrattamento del combustibile esaurito, operazioni di bonifica e ripristino ambientale delle miniere di
uranio) e della centrale (costruzione, smantellamento, gestione delle scorie radioattive) che producono
CO2. Alla fase di estrazione sono associate le maggiori emissioni di CO 2: per ottenere 1 Kg di uranio
da un giacimento che ha un grado di concentrazione dello 0, 1% (la media mondiale è dello 0,15%)
occorre estrarre e lavorare 1 tonnellata di minerale; l‟impianto di arricchimento di Paducah, nel
Kentucky, utilizza due centrali a carbone da 1.000 MW; questo impianto ed un altro a Portsmouth,
Ohio, rilasciano il 93 % di tutto il gas clorofluorocarburo, CFC, emesso annualmente negli USA,
anch‟esso un gas serra, responsabile inoltre della distruzione della fascia di ozono stratosferico). Ma
nell‟ipotesi che, allo stato attuale, il ciclo nucleare emettesse meno CO2 del carbone, e anche del gas,
se si tiene conto che il nucleare copre meno del 6 % della domanda di energia primaria mondiale (circa
il 2% dei consumi finali di energia, come detto prima), anche un obiettivo di modestissimo abbattimento
delle emissioni di CO2 richiederebbe la costruzione di un migliaio di centrali nucleari, con costi di
migliaia di miliardi di euro, che sembrano difficilmente compatibili con la situazione economica
mondiale.
L‟obbiettivo della riduzione della CO2 può essere ottenuto in maniera più efficace con impegni
economici assai più modesti, e senza gli „effetti collaterali‟ del nucleare.
In ogni caso l‟entità delle emissioni del ciclo nucleare aumenterà consistentemente quando si saranno
esauriti i giacimenti più ricchi di Uranio, la cui durata è valutata in pochi decenni al ritmo attuale di
utilizzo: quando si dovrà ricorrere a giacimenti o matrici in cui esso è meno concentrato, aumenteranno
le quantità di minerale (radioattivo!) da estrarre, trasportare e trattare, aumenteranno vertiginosamente
anche le emissioni di CO2, v.
La figura che segue mostra il rapporto che intercorre tra la concentrazione dell‟uranio nella roccia
madre e le emissioni di CO2.
5) Salute e sicurezza.
Secondo l‟Istituto Superiore di Sanità “..in condizioni normali un reattore nucleare potrebbe
concettualmente essere “stagno”, ma in pratica è impossibile evitare che una certa frazione delle
incamiciature del combustibile si fessuri durante l’esercizio con conseguente rilascio , all’esterno , di
prodotti di fissione ivi contenuti.” (da Annali ISS vol. 23 n.2 pp.254), e “..I gruppi che possono ricevere
impegni di dose nel ciclo nucleare sono di tipo diverso:anzitutto i lavoratori esposti professionalmente,
quindi la popolazione entro poche centinaia di km (dosi locali), quella entro poche migliaia di chilometri
(dosi regionali) e quella totale del globo..” (da Annali ISS vol. 23, n.2 pag. 186)
Molte ricerche hanno ormai dimostrato in modo incontestabile che tra le popolazioni che vivono nei
pressi delle centrali vi sono aumenti di leucemie infantili e di altre malattie. Uno studio commissionato
dal governo tedesco, effettuato nelle vicinanze delle 16 centrali presenti sul suolo nazionale (German
KiKK Study), ha mostrato un incremento di 2,2 volte delle leucemie infantili e di 1,6 volte dei tumori
embrionali. Questi livelli sono strettamente correlati alla presenza delle centrali e accettati dal governo
tedesco.
Anche uno studio americano sulle relazioni tra la presenza delle centrali e leucemie infantili (Joseph
Mangano, Janette Sherman - European Journal of Cancer care, 2007), aveva mostrato dati
preoccupanti: per le centrali vecchie si ha un + 13,9% (dati 1957-80), per le centrali più recenti un +
9,4% (dati 1985-2004).
Rilasci di radioattività sono evidentemente comuni anche in condizioni di normale funzionamento. A
poco valgono gli argomenti che queste possono essere inferiori al fondo naturale di radioattività, perché
per sconvolgere i meccanismi genetici e biochimici bastano dosi bassissime, che si aggiungono con
effetti sinergici a tutti gli altri fattori inquinanti (questi andrebbero considerati nel loro complesso, e non
separatamente). È provato anche il preoccupante aumento di tumori nella popolazione mondiale.
L‟inquinamento radioattivo dell‟atmosfera terrestre è grave fin dai tempi dei test nucleari, anche se
sottaciuto o negato dalle autorità e dalla comunità scientifica.
Né va dimenticato che l‟estrazione del minerale di uranio causa tumori e altre malattie nei lavoratori , e
provoca devastazione e inquinamento radioattivo diffuso nella regione circostante.
In Francia erano attive più di 200 miniere di uranio su 23 zone (l‟ultima è stata chiusa nel 2001). Il
CRIIRAD, un istituto di ricerca indipendente francese, ha potuto eseguire alcune misurazioni: nei pressi
della miniera AREVA (multinazionale francese che opera nel campo dell'energia) a Puy de l‟Age. E‟
stata rilevata la contaminazione del prato a valle dei rigetti liquidi della miniera (2003), riscontrando
valori relativi all‟Uranio 238 e al Radio 226 venti volte superiori ai limiti consentiti.
Sempre il CRIIRAD, insieme a Greenpeace ed alla rete di Ong ROTAB, è riuscito a fare un breve
monitoraggio nei villaggi nigeriani intorno alle miniere di AREVA, dalle quali ricava il 50% del suo
uranio: ha verificato situazioni spaventose e la presenza diffusa di gravi patologie. Lo stesso CRIIRAD
ha verificato persino in Francia, nelle vicinanze di siti estrattivi dismessi, situazioni ambientali e
sanitarie assolutamente preoccupanti.
Non bisogna inoltre dimenticare che la filiera del nucleare è lunga, poiché comprende l‟estrazione, la
prima lavorazione, il trasporto, la preparazione del combustibile, la centrale, il riprocessamento del
combustibile (gli atomi "trasmutati" che hanno catturato uno o più neutroni senza spezzarsi e una parte
di prodotti di fissione, cioè atomi che sono stati effettivamente spezzati dalla fissione, accumulandosi,
tendono ad impedire il corretto svolgersi della reazione a catena e pertanto periodicamente il
"combustibile" deve essere estratto dai reattori ed eventualmente riprocessato cioè "ripulito"),
l‟eliminazione delle scorie. Quindi non solo la centrale ma tutti gli altri impianti e processi portano il loro
contributo all‟inquinamento ambientale. In particolare anche in Europa sono state misurate radiazioni
consistenti sia nei trasporti sia nel riprocessamento.
Per quanto riguarda il solo trasporto in Francia ogni anno transitano su strade e ferrovie oltre 130.000
colli radioattivi per alimentare le centrali nucleari. Le radiazioni piu penetranti (gamma, neutroni)
attraversano le protezioni e possono raggiungere le persone a decine di metri di distanza dal treno o
autocarro. Le regole internazionali sul trasporto autorizzano livelli di radiazione troppo alti (2 000 Sv/h
a contatto e 100 Sv/h a 2 metri), cioè 20 000 e 1 000 volte sopra il livello naturale, per cui restare
qualche minuto vicino a questi trasporti aumenta il rischio di cancro in modo non trascurabile. Il
CRIIRAD ha misurato vicino a Lyon le radiazioni presso un treno che trasportava rifiuti radioattivi della
centrale nucleare di Bugey verso l‟impianto di riprocessamento AREVA: ancora a 50 m di distanza le
radiazioni gamma eccedevano i limiti consentiti.
Per quanto riguarda il normale funzionamento delle centrali si osserva che, oltre alle radiazioni di fondo,
si registra che i gas nobili (Xeno 133, Kripton 35), lo Iodio e il Trizio (Idrogeno radioattivo che si
produce a partire da Litio e Boro) non sono intrappolati dai sistemi di trattamento degli eff luenti gassosi:
più del 99 % della radioattività rigettata nell‟ aria è dovuta ai gas. Ma i controlli sulla radioattività dell‟aria
vengono effettuati sulle particelle di pulviscolo (soprattutto pm10) così l‟effettiva diffusione delle
sostanze radioattive non viene monitorata.
Sono inoltre stati documentati dal CRIIRAD fughe di trizio nelle acque sotterranee nei pressi di impianti
nucleari di vario genere: centrali nucleari EDF (Blayais, Bugey, Cattenom, Dampierre, Fessenheim,
Flamanville, Gravelines, Paluel, Saint-Alban, Tricastin), Centri Ricerche Nucleare CEA (Cadarache,
Saclay); Centro Stoccagio Rifiuti Nucleari (ANDRA) (Soulaine, La Hague - CSM), Centrale di CRUAS
(acqua di falda bevuta dai lavoratori EDF contaminata, 990 Bq/l, con un valore massimo di 3 400 Bq/l
nel 2005).
Infine è assai significativo anche l‟inquinamento dovuto agli impianti di riprocessamento del
combustibile nucleare: nella seguente figura è rappresentato l‟aumento dell‟inquinamento dell‟aria
nell‟emisfero settentrionale relativo al Kripton 85, T=10 anni (Bq/mc) emesso dagli impianti di
riprocessamento.
Nella seguente figura è mostrato l‟impatto radiologico globale della produzione elettrica da nucleare:
dose collettiva locale e regionale (uomo-Sievert per Gigawatt all‟anno).
Rimane poi il problema della sicurezza, tutt‟altro che risolto, o rassicurante. Le conseguenze di
inaudita gravità dell‟incidente di Chernobyl (1986) gravano e graveranno ancora sull‟intera umanità,
anche se nel ventennale le Agenzie internazionali hanno fatto irresponsabilmente a gara per
minimizzarne la portata (v. ref.). Anche la versione ufficiale secondo la quale l‟incidente dei Harrisburg
(Three Mile Island) del 1979 non avrebbe avuto conseguenze sanitarie nel territorio circostante è stata
confutata da studi autorevoli (v. ref.). Tuttora esistono irriducibili, come l‟Associazione Italiana Nucleare
la quale sostiene che “le vittime accertate dell’incidente sono 65” (replica del 6 aprile 2009 alla
trasmissione Report): secondo il rapporto dell‟Oms, finora, nei Paesi più danneggiati, sono stati
diagnosticati circa 5.000 tumori tiroidei, in persone che all‟epoca della disgrazia erano bambini o
adolescenti. Nuovi casi di cancro alla tiroide sono verosimilmente previsti nei prossimi decenni. L‟Oms
stima che ci potrebbero essere 9.000 morti per cancro “in eccesso” imputabili all‟incidente di Chernobyl
tra le persone appartenenti alle squadre di emergenza, tra gli evacuati e i residenti delle regioni ad alta
e bassa contaminazione di Bielorussia, Russia e Ucraina. Ufficialmente fino ad oggi OMS ammette
4000 vittime dovute a Chernobyl, ma Eugenia Stepanova, direttrice del centro scientifico del governo
Ucraino, afferma: “siamo pieni di casi di cancro della tiroide, leucemie e mutazioni genetiche non
registrate nei dati OMS e che erano praticamente sconosciuti circa 20 anni fa”. Nikolai Omelyanetes,
vice-capo della commissione nazionale per la RP Ucraina afferma “Abbiamo studi che mostrano che
34.499 persone che presero parte alla ripulitura di Chernobyl sono morte di cancro dopo la catastrofe. Il
tasso di mortalità infantile è aumentato fra il 20 e il 30%. Tutte queste informazioni sono state ignorate
dall’AIEA e dall’OMS: gliele abbiamo mandate a marzo del 2005 e poi nuovamente a giugno. Non ci
hanno detto perché non le hanno accettate”.
Anche per l‟incidente di Three Mile Island (Harrisburg), del 28 marzo 1979, si è cercato di nascondere
gli effetti: prima si disse che “non c‟era stato rilascio di radiazioni”, poi che “ il rilascio era stato
insignificante”. In realtà a tutt‟oggi non si sa quale sia stato il livello di radiazioni disperse nell‟ambiente
ma, come mostra la seguente figura, le indagini epidemiologiche hanno mostrato una situazione molto
grave.
Ancora meno si sa sugli effetti dei cosiddetti „piccoli incidenti‟, per esempio: Giappone -Tokaimura
(1999) e Kashiwazaki-Kariva (2007)-; Francia -Tricastin e Saint Alban-Saint Maurice- e, solo nel 2007,
942 incidenti definiti come minori; Slovenia -Krsko (2008)-; Germania -Krummel (2009)-.
Particolarmente significativo delle ordinarie vicissitudini, spesso occultate, delle centrali nucleari è il
caso del centro nucleare di Cadarache (Francia): 1994, esplosione; 2004 e 2208, incendio e un
accumulo di uranio a causa delle bilancia guasta. Questo impianto tra l‟altro è realizzato senza criteri
antisismici. Recentissime (novembre 2009 – gennaio 2010) poi le informazioni sul caso delle perdite di
Trizio a Vermont Yankee, che hanno portato a concentrazioni nell‟acqua di falda assai superiori a
quelle ammesse dall‟EPA per l‟acqua potabile. A 500 metri c‟è una scuola elementare!
L‟inquinamento radioattivo dell‟atmosfera terrestre viene da lontano ed ha assunto livelli preoccupanti,
anche se occultato dalle competenti autorità, che sottovalutano soprattutto gli effetti sanitari delle
piccole dosi di radiazioni, soprattutto per esposizioni prolungate.
Si trova ancora Stronzio-90 nei denti dei bambini americani ascrivibile ai test nucleari nell‟atmosfera
degli anni ‟50 e ‟60 (v. ref.); mentre l‟uso e l‟abuso dei famigerati proiettili ad “uranio impoverito” hanno
liberato nell‟atmosfera ulteriore, persistente pulviscolo di microparticelle radioattive. Negli ultimi anni
non sono cessati gli incidenti in centrali nucleari in Francia, Spagna, Germania, Slovacchia, Giappone:
anche se vengono sistematicamente sminuite dalle autorità.
Bisogna ricordare anche che si hanno informazioni ed indizi preoccupanti sulla sicurezza del reattore
EPR. Gli enti regolatori per la sicurezza britannico, francese e finlandese hanno espresso critiche
sull‟adeguatezza dei sistemi di sicurezza e sulla loro indipendenza dai sistemi di controllo. Vi sono poi
seri dubbi sulla stabilità del reattore a fronte dei tentativi di regolarne la potenza per rispondere alle
oscillazioni della rete.
Infine è necessario sapere che il concetto di “dose-limite”, che viene utilizzata per stabilire i livelli di
esposizione accettabile alle radiazioni, non definisce affatto la soglia sotto la quale non si ha alcuna
conseguenza: così come definita dall‟ICRP per i lavoratori addetti, non significa una dose al di sotto
della quale il rischio non si determina, ma solo “una dose alla quale possono associarsi effetti somatici
o genetici che si considerano accettabili a fronte di benefici economici”: in altre parole, si mettono su un
piatto della bilancia gli effetti somatici o genetici e sull‟altro i benefici economici, più alti sono i secondi
più si eleva la tollerabilità delle patologie conseguenti.
6) Le scorie radioattive
Comprendono il combustibile esaurito e tutto ciò che è stato contaminato dalle radiazioni, cioè i
materiali utilizzati per il funzionamento della centrale ed il reattore stesso, che a fine ciclo andrà
smantellato.
Il problema dei residui del ciclo nucleare è irrisolto in tutti i paesi del mondo, e non si prospettano
soluzioni semplici ed economiche in tempi prevedibili. Ancora una volta la Francia dimostra
l‟insostenibilità dei problemi creati dal nucleare: migliaia di tonnellate di rifiuti radioattivi a bassa attività
sono stati sparsi su tutto il territorio, vi sono state probabilmente esportazioni illegali in altri paesi. Per il
progetto USA del deposito di Yucca Mountain nel deserto del Nevada i costi di costruzione
supereranno i 54 miliardi di dollari (che dovranno essere pagati con le tasse dei contribuenti) e non è
affatto certo che questo entrerà mai in funzione. La data d‟inizio dello stoccaggio è stata più volte fatta
slittare (oggi si parla forse del 2017), a causa di numerosi problemi.
Ma anche se il deposito di Yucca Mountain dovesse, un giorno, entrare in servizio, potrà contenere
circa 70.000 tonnellate di rifiuti radioattivi e, come scrivono in uno splendido libro Balzani e Armaroli :
“nel 2017 gli Stati Uniti avranno accumulato 85.000 tonnellate di combustibile esausto dalle loro centrali
nucleari: il deposito è dunque già virtualmente pieno, dieci anni prima della sua apertura. Più in
generale, agli attuali ritmi di produzione complessiva di elettricità e armamenti nucleari, il mondo
avrebbe bisogno di un deposito con capacità di Yucca Mountain ogni due anni.”
Non esiste in effetti in nessuna parte del mondo un‟esperienza concreta in grado di garantire sicurezza
e affidabilità, nel lungo periodo, di uno stoccaggio delle scorie a più alta radioattività.
Non esiste la possibilità scientifica di dimostrare il mantenimento delle condizioni di sicurezza
necessarie per alcune centinaia di migliaia di anni, richieste dai rifiuti radioattivi di III categoria (ossia le
scorie a più altro livello di radioattività derivate direttamene dai processi di combustione e dagli elementi
che con questa direttamente vengono a contatto). Nessuna opera dell‟uomo può ragionevolmente
pensare di sfidare tempi così lunghi e qualsiasi pretesa di garanzia non può avere nessun fondamento
scientifico.
Senza considerare quali sarebbero i costi per mantenere in sicurezza un simile sito per tempi tanto
lunghi difendendolo anche da possibili attacchi terroristici, un rischio quest‟ultimo che è andato
aumentando, cui possono essere sottoposti non solo gli impianti ma anche le stesse operazioni di
trasporto del combustibile esausto
È inoltre elevatissimo il rischio - se non la certezza - che siano attivi operatori malavitosi che
smaltiscono le scorie nucleari nel terzo mondo o nei fondali oceanici: di queste attività potremmo avere
drammatica certezza quando potrebbe essere troppo tardi per porre rimedio a fenomeni di
inquinamento radioattivo su ampia scala geografica.
in In Italia abbiamo ancora una pesante eredità dei pur relativamente modesti programmi nucleari del
passato, irrisolti dopo 20 anni! (Quattro centrali da smantellare, combustibile esaurito ancora da
ritrattare, scorie nucleari disseminate in siti non idonei, grandi quantità di fusti con scorie radioattive,
provvisoriamente collocati all‟interno delle centrali o inviati all‟estero, con rilevanti spese per la custodia
e gli affitti: ricordiamo tutti le vicende di Scanzano Ionico, dove il precedente Governo Berlusconi voleva
d‟imperio localizzare il deposito nazionale definitivo per le scorie nucleari).
Si tenga inoltre presente che il problema delle scorie non riguarda solo quelle prodotte dalle centrali
(durante l‟esercizio e dopo la dismissione) ma anche nella fase di estrazione dell‟Uranio: gli impianti
d‟estrazione infatti producono rifiuti radioattivi, e fortemente contaminati da una serie di sostanze
chimiche utilizzate, in grande quantità e nessuno sa come organizzarne lo stoccaggio per migliaia di
anni.
Questo problema è tutt‟altro che trascurabile sia per la quantità dei materiali (50 milioni di tonnellate
solo in Francia e si stima che ve ne siano più di 35 milioni stoccate senza protezione presso gli
impianti di concentrazione di uranio di AREVA in Africa) sia perché l‟80 % della radioattività del
minerale rimane nei fanghi che costituiscono i rifiuti estrattivi: radio 226, radon 222, polonio 210,
piombo 210, etc.
Sono metalli radioattivi caratterizzati da alta radiotossicità e lunghi tempi di decadimento: l‟emivita del
torio 230 ad esempio è di 75 000 anni.
7) Nucleare civile e militare
Il legame tra energia nucleare “civile” e militare non solo è inscindibile (dual-use), ma i programmi civili
non si sarebbero sostenuti senza i programmi militari, i cui costi complessivi non si sapranno mai, ma
sono senza dubbio superiori almeno di un fattore 10 rispetto ai programmi civili: a fronte della
costruzione di poche centinaia di reattori di potenza nel mondo, sono stati costruiti un numero maggiore
di reattori militari, e ben 130.000 bombe atomiche (con tutto il sistema, molto più costoso, di missili,
bombardieri, sommergibili, sistemi di controllo e di allarme, satelliti, radar, ecc.).
Anche la Francia ha sviluppato un potente arsenale nucleare militare, nel quale ha potuto scaricare
molti costi del nucleare civile: l‟utente francese paga, attraverso la fiscalità generale, una quota per il
nucleare che è rubricata tra le spese per la difesa, cioè per le spese militari.
La realizzazione di programmi di rilancio di centrali nucleari di potenza, e la diffusione di questa
tecnologia ad altri paesi, non può che aggravare i rischi di proliferazione militare (richiamati solo
quando si tratta dell‟Iran o della Corea del Nord: il Brasile ha già realizzato, senza nessuna
contestazione, il processo di arricchimento dell‟uranio che si contesta a Tehran ,; l‟India, che non ha
nemmeno aderito al Trattato di non proliferazione nucleare nonostante le tensioni con il Pakistan, ha in
programma la costruzione di centrali con capitali e tecnologie americane). D‟altra parte, dovrebbe far
riflettere il fatto che l‟Agenzia Internazionale per l‟Energia Atomica (IAEA) già oggi denuncia una
carenza di fondi per i compiti di controllo della tecnologia nucleare civile in tutto il mondo.
L‟uso di combustibile misto uranio-plutonio (MOX), previsto anche per i reattori EPR, presenta ulteriori
rischi di proliferazione per la possibilità di ritrattarlo estraendo il plutonio.
8) L’Italia ha bisogno delle centrali nucleari? –
È vero che l‟Italia importa energia elettrica, a prezzi molto bassi, dalla Francia, ma anche dalla Svizzera
e l‟Austria: perché?
In realtà l‟Italia ha un‟eccedenza di potenza elettrica installata rispetto alla domanda superiore a tutti i
paesi europei: al 31 dicembre 2008 la potenza efficiente netta disponibile era di 98.625 MW, a fronte di
55.292 MW di potenza massima richiesta nello stesso anno (Fonte Terna, “Dati statistici sull‟energia
elettrica in Italia”, 2008) dando luogo alla maggiore eccedenza di potenza disponibile tra i paesi europei
A tutto questo andranno ad aggiungersi le migliaia di MW d‟impianti in costruzione e le potenziali
decine di migliaia di MW di quelli in progetto, un dispiegamento di nuova potenza assai maggiore di
quello necessario a compensare le dismissioni dei vecchi impianti e assolutamente inutile per le reali
esigenze del nostro paese.
Ma il sistema elettrico italiano è inefficiente, soprattutto da quando il settore è stato privatizzato i costi
dell‟energia elettrica in Italia sono tra i più alti d‟Europa, per cui conviene mantenere delle centrali
spente o a basso regime e comperare energia dall‟estero. Inoltre gli imprenditori privati hanno
convenienza a costruire nuovi impianti a gas, redditizi anche se funzionano a pieno regime solo
saltuariamente, così da vendere la propria produzione a prezzi elevati quando c‟è grande richiesta.
Da parte sua la Francia, con la scelta di produrre il 78 % dell‟energia elettrica dal nucleare (ma tutti i
governi francesi si sono ben guardati dal privatizzare EDF, Electricité de France) ha un sistema
elettrico molto rigido: le centrali nucleari, infatti, non possono essere accese e spente a piacere come si
fa, per esempio, con un ciclo combinato a gas, ma devono funzionare a ciclo continuo. Tali sistemi
rigidi non possono variare la produzione, nell‟arco delle 24 ore, in modo adeguato a tenere conto delle
diverse richieste sulla rete elettrica., per cui per coprire la domanda di picco la Francia produce in ore di
minimo un surplus di energia elettrica, che è costretta a vendere a prezzi molto bassi, assai inferiori al
costo di produzione. Per contro, in situazioni eccezionali deve comperare energia che, essendo energia
di picco, paga molto cara (anche se il bilancio è positivo).
L‟Italia quindi non ha bisogno di più energia elettrica: dai dati degli ultimi due rapporti di Terna risulta
che nei soli anni 2007 e 2008 sono stati realizzati rispettivamente 4.150 e 5.027 MW di nuova potenza,
molto più dei 6.400 MW delle 4 centrali nucleari che il governo vorrebbe costruire, che comporteranno
costi enormemente superiori, e non meno di 10 anni dall‟avvio dei lavori, previsto per il 2012-2013!
Sarebbe sufficiente razionalizzare i consumi per rendere totalmente inutili altri impianti di produzione
elettrica: l‟Italia è il paese degli sprechi, enormi sprechi pubblici di energia – dal sistema di trasporto su
gomma e le autostrade, al deplorevole isolamento degli edifici la cui razionalizzazione ed eliminazione
costituirebbe la maggiore fonte di energia, con grandi vantaggi economici, ambientali, occupazionali e
sociali!
E comunque, prima di pensare al costoso e problematico nucleare, sarebbe opportuno riflettere sul
fatto che la Germania, assai meno favorita di noi, è leader mondiale nell‟energia solare; anche la
Spagna ha incentivato le energie rinnovabili, sviluppando capacità tecnologiche e commerciali. Rispetto
a questi paesi, l‟Italia rimane il fanalino di coda nelle energie rinnovabili.
9) Ridurremmo la dipendenza dal petrolio?
Il nostro Paese non possiede significative riserve di uranio e quindi sarebbe costretto ad importarlo dai
paesi produttori: i principali sono il Canada, l‟Australia e il Kazakistan. Altri paesi con riserve di un certo
interesse sono la Russia, il Niger, la Namibia, l‟Uzbekistan, il Sud Africa, il Brasile.
Quindi, se decidessimo di puntare sul nucleare per produrre l‟energia elettrica, sostituiremmo la
dipendenza dai combustibili fossili con quella dall‟uranio. Tutto questo senza considerare che l‟uranio è
una risorsa il cui sfruttamento necessita di una complessa filiera (che va dall‟estrazione
all‟arricchimento del minerale) tutta in mano di pochi paesi, quali la Francia, ma non l‟Italia. Quindi, oltre
alla dipendenza energetica, col nucleare, aggiungeremmo la dipendenza tecnologica.
La dipendenza energetica italiana ha ben altre cause. Importiamo quasi tutto il petrolio, che viene
utilizzato, con grandi sprechi, in usi in cui non è sostituibile dal nucleare: circa un terzo, per un sistema
dei trasporti totalmente sbilanciato sul trasporto su gomma e privato, buona parte per il riscaldamento
di edifici costruiti senza isolamento termico, e altre importanti quote per attività produttive energivore,
che producono male e in modo inefficiente.
Peraltro la Francia importa più petrolio dell‟Italia, ed ha anzi i consumi di petrolio pro capite più alti
d‟Europa che le servono per il fabbisogno energetico che non riguarda la produzione di elettricità. Il
nucleare quindi non ha nulla a che fare con la bolletta petrolifera! La Francia importa meno gas di noi:
ma questo è legato al fatto che, per sostenere la produzione elettronucleare, utilizza ancora il
riscaldamento domestico elettrico.
10) Trasparenza, efficienza, democrazia nei lavori –
La legislazione raffazzonata da questo governo per la ripresa del nucleare presenta aspetti allarmanti,
che violano la Costituzione e stravolgono la normativa internazionale, tant‟è che molte Regioni hanno
fatto ricorso alla Corte Costituzionale. Tra l‟altro la nascente Agenzia per la sicurezza nucleare (ASN) si
configura non come ente indipendente, ma dipendente dal Governo, che vuole sveltire delicate
procedure autorizzative, riducendone tempi e modi rispetto agli altri paesi, che pure hanno maggiore
esperienza in campo nucleare (i reattori già licenziati in paesi OCSE o con cui l‟Italia ha accordi
bilaterali, Francia e USA, sono sostanzialmente approvati; le procedure autorizzative per una centrale
nucleare sono surrettiziamente estese anche a strutture destinate allo stoccaggio del combustibile e dei
rifiuti radioattivi, edificabili nello stesso sito, che richiederebbero un‟altra autorizzazione; si
precostituisce così la possibilità che queste strutture non vengano sottoposte a VIA in quanto i rifiuti
sono prodotti nello stesso sito, con l‟aggravante che questi depositi temporanei potrebbero, col tempo,
diventare definitivi; ecc.).
Allarma da questo punto di vista l‟orientamento del Governo di localizzare le nuove centrali proprio nei
siti delle vecchie (Caorso, Garigliano, Trino Vercellese), che già avevano le autorizzazioni, scavalcando
d‟un colpo il problema dello smantellamento delle vecchie centrali, che non può essere frettolosamente
liquidato come la demolizione di un qualsiasi edificio.
Non si dimentichi poi che tutto il territorio italiano è a rischio sismico e gran parte di esso soggetto ad
una forte fragilità idrogeologica.
Infine, con l‟entrata in vigore della Legge Sviluppo (luglio 2009), lo Stato potrà avvalersi dei poteri
sostitutivi nei confronti delle Regioni in materia di energia (aspetto per cui molte Regioni hanno fatto
ricorso), equiparando di fatto i siti scelti per le centrali alle aree militari d‟interesse strategico. Con grave
detrimento dei principi di partecipazione democratica nella condivisione delle localizzazioni.
E per il futuro?
I sostenitori del nucleare ci promettono reattori di 4a Generazione, di nuova concezione, con
caratteristiche tali da risolvere tutti i problemi creati da questa tecnologia. Purtroppo tali centrali sono
ancora a livello di ricerca (dopo decenni!), anche i più ottimisti non ne prevedono l‟entrata in funzione
prima del 2030-2040!
Sembra per lo meno estremamente scorretto promettere oggi le caratteristiche future di una tecnologia
che esiste solo nelle ipotesi di studio, talmente complessa, che potrà riservare sorprese, difficoltà e
problemi assolutamente inaspettati e forse insormontabili nel corso della sua realizzazione. E non
dimentichiamo che la necessità di attivarsi al più presto per contrastare i cambiamenti climatici è in
netto contrasto con promesse di eventuali soluzioni a così lungo termine.
È inoltre utile ricordare il colossale progetto dei reattori veloci al Plutonio sviluppato dalla Francia (con
la partecipazione al 30 % dell‟Italia; ma la Francia aveva l‟interesse principale per le bombe!): esso si è
rivelato un clamoroso fallimento, con la chiusura definitiva di Superphoenix, che avrebbe invece dovuto
essere il prototipo per un reattore veloce commerciale.
E a fronte di tutto questo infatti il Mondo non va nella direzione del nucleare: nella figura che segue è
rappresentata la potenza nucleare, da eolico e da fotovoltaico annuale nel mondo (dal 2003 al 2007
dati storici, dal 2008 al 2012 valutazioni statistiche, fonte Qualenergia - QE, 2008).
Oggi nel mondo sono in costruzione circa 34 impianti, di cui 7 in Cina, 7 in Russia e 6 in India, però
circa il 70% dei reattori nucleari oggi in funzione sono stati realizzati fra il 1975 e il 1985: questi impianti
dovranno, quindi, essere chiusi entro il 2030 (per superati limiti età). Ciò significa che per mantenere
l‟attuale potenza nucleare, sarebbe necessario sostituire i circa 250 GW che dovranno essere chiusi.
La realtà, quindi, è che i nuovi impianti in costruzione, sempre che riescano tutti a essere realizzati, non
saranno sufficienti neanche a compensare quelli che dovranno essere chiusi per raggiunti limiti di età.
Nel 2006 sono entrate in funzione 2 centrali e ne sono state chiuse 8... Nel 2015, nella ipotesi più
ottimistica, dal punto di vista dei filonucleari, ne potrebbero essere aperte una trentina, ma ne dovranno
essere chiuse almeno 90. Nel decennio successivo (cioè tra il 2015 e il 2025), per compensare gli
impianti che dovranno essere chiusi, occorrerebbe aprirne ben 190, cioè una ventina di impianti
all‟anno con un programma di investimenti economici ed energetici assolutamente insostenibile, e
questo solo per compensare gli impianti da dismettere: il recente rapporto “The World Nuclear Industry
Status Report 2009” afferma che, per mantenere costante la potenza installata, sarebbe necessario
realizzare ben 192 nuovi impianti entro il 2020: praticamente uno ogni 19 giorni.
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In Francia
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http://uk.reuters.com/article/oilRpt/idUKL2465085020080724
Alcuni studi scientifici “alternativi” su Chernobyl
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Yablokov (Russian Academy of Sciences, and Center for Russian Ecological Policy, Moscow)
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_ D. Williams e K. Baverstock, “Too soon for a final diagnosis”, Nature, Vol. 440, 20 April 2006, pp. 993-4.
_ C. C. Busby, “Very Low Dose Fetal Exposure to Chernobyl Contamination Resulted in Increases in Infant
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_ Petrova A, Gnedko T, Maistrova I, Zafranskaya M, Dainiak N. “Morbidity in a large color study of children born
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Vi è poi una grande quantità di studi specifici in vari paesi europei, ed anche sugli USA
Studi sulle conseguenze dell’incidente di Three Mile Island del 1979
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Environmental Health
Perspectives, vol. 105, no. 6, pp. 566-67 (1997).
_ E. O. Talbott et al., "Mortality Among the Residents of the Three Mile Accident Area: 1979-1992,"
Environmental Health
Perspectives, vol. 108, no. 6, pp. 545-52 (2000); e
_ E. O. Talbott et al., "Long-Term Follow-up of the Residents of the Three Mile Island Accident," Environmental
Health
Perspectives, vol. 111, no. 3, pp. 341-48 (2003).
_ Joseph J. Mangano, “Three Mile Island: health study meltdown”, Bulletin of the Atomic Scientists, Vol. 60, n. 05,
September/October 2004, pp. 30-35
Critica scientifica dei criteri radioprotezionistici del ICRP
_ 2003 Recommendations of the ECRR (European Committee on Radiation Risk), «The Health Effects of Ionising
Radiation
Exposure at Low Doses and Low Dose Rates for Radiation Protection Purposes: Regulators‟ Edition» (ISBN: 1
897761 24 4), Edited
by Chris Busby with Rosalie Bertell, Inge Schmitz-Feuerhake, Molly Scott Cato and Alexei Yablokov,
http://www.euradcom.org/2003/ecrr2003.htm
_ ECRR, Lesvos Declaration, 6 maggio 2009 (www.euradcom.org/2009/presslesvos.htm), e Comunicato Stampa,
7 maggio 2009
(www.euradcom.org), sulla Conferenza Internazionale Criticisms and Developments in the Assessment of
Radiation Risk (5-6 maggio
2009), Molyvos (Mithymna) Island of Lesvos, Grecia.
COORDINAMENTO TOSCANO per il NO al NUCLEARE:
Ambiente e Lavoro Toscana
Amici della Terra - Toscana ONLUS
ARCI Toscana
Cittadinanzattiva Toscana
Fare Verde Toscana
Forum Ambientalista
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Italia Nostra Toscana
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Terra !
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